Loading...

Validità della pattuizione di aumento del canone

  • 26/03/2018

STUDIO GRANDIERI MAIORANA CECCARELLI

AVV. ANDREA MAIORANA

 

E' VALIDA LA PATTUIZIONE DI AUMENTO

DEL CANONE DI LOCAZIONE?

La legge 27 luglio 1978 n. 392, ancora oggi nota come “legge dell'equo canone” costituì un intervento dirompente dello Stato in un ambito, quello della contrattazione fra privati, sino a quel momento – e per la verità ancora oggi, salvo alcuni settori determinati - caratterizzato dall'ampia libertà concessa alle parti.

Con la legge sopra ricordata il legislatore intervenne invece in maniera pesante nell'imporre ai cittadini che intendessero stipulare un contratto di locazione di immobili urbani due condizioni imprescindibili: una durata minima (per di più con rinnovo pressocchè automatico alla prima scadenza) e, per le locazioni aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, un importo massimo inderogabile del canone.

Dalla data di entrata in vigore di quella legge, pertanto, il proprietario che avesse avuto intenzione di concedere in affitto un proprio immobile si è visto obbligato a prevedere una durata del contratto non inferiore a quattro anni se l'immobile era destinato ad abitazione o a sei se destinato ad uso commerciale (e nove anni se destinato ad attività alberghiera), con rinnovo per periodi della stessa durata; se, inoltre, l'immobile era destinato ad abitazione non poteva richiedere un canone maggiore di quello risultante dall'applicazione di determinati parametri stabiliti dalla legge stessa.

Erano previste alcune limitate eccezioni per quanto riguarda la durata, che poteva essere inferiore ove ricorressero determinate condizioni, e per il canone, che poteva essere aumentato se l'immobile veniva locato completo di arredamento.

Era opinione diffusa, ma errata, che un alloggio arredato potesse essere affittato a canone libero e con qualsiasi durata, anche inferiore al limite di legge, ma in realtà non era così: l'arredamento consentiva un aumento del canone fino al 30%, mentre la durata poteva essere inferiore solo se la locazione era stipulata “per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria”, indipendentemente dal fatto che l'appartamento fosse arredato o meno.

Era inoltre stabilito che il canone di locazione dovesse rimanere sempre lo stesso per tutta la durata del contratto, salva solo la possibilità di un adeguamento pari al 75% degli indici ISTAT: il canone non poteva dunque essere aumentato, ma solo “aggiornato” per contrastare gli effetti dell'inflazione.

Tale situazione è stata parzialmente superata dalla legge 9 dicembre 1998 n. 431, che ha dettato una nuova disciplina per le locazioni di immobili ad uso abitativo ed in particolare ha eliminato qualsiasi vincolo alla determinazione del canone.

Per gli immobili destinati ad uso non abitativo, invece, sono tuttora in vigore le norme dettate dalla L. 392/1978 ed in particolare dagli artt. da 27 a 42.

Come ho sopra accennato, per tale tipo di immobili la legge non impone alcun limite massimo di canone, che è quindi sempre determinato dalla libera pattuizione delle parti; si prevede però che esso non possa essere “aumentato”, ma possa essere soltanto “aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira” (ed ovviamente oggi dell'euro) e che tali variazioni del canone non possano essere superiori al 75% di quella dell'indice dei prezzi al consumo rilevata dall'ISTAT (art. 32, commi I e II).

Accade tuttavia frequentemente, nella prassi, che le parti stabiliscano per i primi anni di locazione un canone particolarmente basso ed un aumento, anche consistente, od una serie di aumenti (in questo caso si parla di “canoni a scaletta”), da una certa annualità in poi.

Ebbene: è valida una simile pattuizione?

A prima vista, infatti, essa sembra essere palesemente in contrasto con le disposizioni di legge viste sopra: il canone non può essere “aumentato”, ma solo “adeguato” all'inflazione.

Tuttavia, possono esservi ragioni specifiche che giustificano un simile accordo, e non a danno ma anzi a vantaggio del conduttore.

Per esempio, può essere concordato fra le parti un canone iniziale particolarmente basso a fronte di lavori di ristrutturazione od adeguamento che dovrebbero essere eseguiti a spese del proprietario ma che viceversa si accolla il coduttore; oppure per agevolare il conduttore nel periodo di avviamento della propria attività.

In questi casi, la pattuizione è valida: la giurisprudenza ha infatti stabilito che l'aumento del canone è valido ed ammissibile quando sia “ancorato ad elementi oggettivi predeterminati idonei ad influire sull'equilibrio economico del contratto, ovvero appaia giustificata la riduzione del canone per un periodo iniziale limitato” (Cass. 11/10/2016 n. 20384; Cass. 12/3/2015 n. 4933).

La clausola non è invece valida se costituisce in realtà un espediente per aggirare la norma imperativa dettata dall'art. 32 della L. 392/1978 che abbiamo ricordato in precedenza, cioè se viene richiesta dal locatore per contrastare gli effetti dell'inflazione in modo diverso e più oneroso per il conduttore rispetto alla previsione di legge.

Nel caso in cui si voglia inserire un simile accordo in un contratto è dunque importante specificare con precisione il motivo per cui viene stabilita una determinazione del canone in misura differenziata; è ovvio inoltre che tale motivo debba essere oggettivamente riscontrabile.

Nel caso in cui la motivazione non sia ritenuta valida, la pattuizione di aumento del canone è nulla ai sensi dell'art. 79 L. 392/1978, con la conseguenza che il canone legalmente dovuto resta per tutta la durata del contratto quello pattuito come canone iniziale ed il proprietario locatore dovrà restituire al conduttore tutte le somme eventualmente ricevute in aggiunta.