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Mancata esecuzione dolosa di un ordine del giudice

  • 13/02/2020

 

Commette un reato il marito che non paga l’assegno

di mantenimento e “nasconde” il proprio patrimonio.

Commette il reato previsto dall’art. 388 del codice penale (Mancata esecuzione dolosa di un ordine del giudice, punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da € 103,00 a € 1.032,00) il soggetto che non versa all’ex coniuge l’assegno di mantenimento e, compiendo atti distrattivi del proprio patrimonio (nella fattispecie stipulando finti atti di vendita, intestando simulatamente a terze persone immobili da lui acquistati ed estinguendo i propri conti correnti bancari), si rende di fatto incapiente, così sottraendosi all’adempimento dei propri obblighi nascenti da provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.

Con sentenza n. 900/2019, resa in data 19/10/2018, il Tribunale di Biella ha riconosciuto che il compimento di atti vòlti allo scopo di “nascondere” il proprio patrimonio in modo da sottrarlo a possibili pignoramenti e non pagare quanto ordinato con sentenza da un’Autorità Giudiziaria costituisce reato, essendo riconducibile a quanto previsto dall’art. 388 C.P.

Nel caso sottoposto al suo esame, il Tribunale di Biella ha accertato che l’imputato, che risultava in passato essere titolare di un ingente patrimonio, pochi anni dopo la separazione aveva venduto un immobile con un atto che il Tribunale stesso ha accertato essere “simulato” (cioè si trattava di una vendita solo apparente, effettuata allo scopo di intestare il bene ad una persona compiacente, ma di cui il venditore restava in realtà proprietario effettivo), aveva acquistato nuovi immobili pagandoli con denaro proprio ma intestandoli, anche in questo caso fittiziamente, alla nuova compagna e, spostando il proprio denaro in depositi bancari che chiudeva poi dopo poco tempo aprendone altri in altri istituti bancari, aveva infine fatto perdere le tracce del proprio denaro.

Contemporaneamente aveva interrotto il pagamento dell’assegno di mantenimento cui il Tribunale lo aveva condannato con la sentenza di separazione e, essendosi reso formalmente “nullatenente”, aveva fatto sì che tutti i tentativi messi legittimamente in atto dalla moglie per ottenere il pagamento di quanto ad essa dovuto rimanessero senza successo.

Il Tribunale ha però precisato che tale reato è un reato cosiddetto “istantaneo”, cioè è compiuto nel momento stesso in cui viene commesso l’atto fraudolento (ad es. quando viene stipulato l’atto di vendita), a nulla rilevando che gli effetti di tale atto si protraggano nel tempo: perciò la prescrizione inizia a decorrere dal compimento dell’atto ed è dunque necessario che l’azione penale venga esercitata tempestivamente.

Quest’ultimo aspetto evidenzia un elemento debole della tutela del creditore: poichè infatti è necessario che gli atti fraudolenti compiuti dal debitore inadempiente ottengano effettivamente il risultato di impedire al creditore l’ottenimento dell’obbligazione – già sancita da una precedente sentenza – occorre che il creditore stesso si attivi con i mezzi messi a disposizione dall’ordinamento per l’esecuzione coattiva (cioè tenti di pignorare beni di proprietà del debitore) e solo constatato l’insuccesso di tali azioni possa rivolgersi al giudice penale.

Dati i tempi, purtroppo, della nostra giustizia, ciò può facilmente portare a rendere vana anche l’azione penale a causa della estinzione del reato, che si prescrive in sei anni prorogabili al massimo fino a sette anni e sei mesi.