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L'assegnazione della casa familiare nella separazione

  • 16/02/2018

Separazione o divorzio e assegnazione della casa familiare

Fra le questioni pratiche che devono essere risolte in sede di separazione personale fra coniugi o di divorzio vi è quella di stabilire quale dei due coniugi abbia diritto di continuare ad abitare nella casa familiare.

A seguito dei recenti interventi del legislatore, che hanno spostato l'attenzione sempre più dai coniugi ai figli, può ora dirsi che la casa familiare deve essere attribuita preferibilmente ai figli minorenni e quindi a quello dei genitori con il quale, pur in regime di affidamento condiviso, essi convivranno stabilmente dopo la separazione od il divorzio.

La cosiddetta “assegnazione della casa familiare” attribuisce ai figli ed al coniuge beneficiario un diritto personale di godimento che deve ovviamente trovare una forma di tutela anche nei confronti dei terzi, estranei alla separazione, che possano tuttavia vantare un qualche diritto sulla casa.

Vediamo dunque rapidamente le varie ipotesi possibili:

1) abitazione di proprietà del coniuge non assegnatario

Il coniuge proprietario della casa è obbligato a lasciarla in uso al coniuge assegnatario ed ai figli sino a che questi non abbiano raggiunto l'autosufficienza economica, ovvero si siano trasferiti stabilmente altrove.

L'art. 337-sexies del codice civile dispone che il provvedimento di assegnazione viene meno se il coniuge assegnatario intraprende una stabile convivenza more uxorio o contragga nuovo matrimonio – o anche, a seguito dell'entrata in vigore della L. 76/2016, un'unione civile – ma in realtà tale disposizione si applica solo se l'assegnazione è stata stabilita in assenza di figli minori; se vi sono figli, come già detto, prevale l'interesse di questi a restare nella loro abitazione.

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere trascritto nei pubblici registri immobiliari; in tal caso, esso manterrà valore sino al raggiungimento della completa autosufficienza dei figli anche nel caso in cui il proprietario venda la casa a un soggetto terzo, il quale sarà dunque obbligato a lasciarla in uso all'assegnatario, senza diritto ad alcun corrispettivo.

Se viceversa il provvedimento non è stato trascritto, il terzo acquirente resterà obbligato a subire gli effetti dell'assegnazione solo per un periodo massimo di nove anni decorrenti dall'assegnazione, trascorsi i quali potrà chiedere la liberazione della casa.

2) abitazione detenuta in locazione

Se la casa familiare è di proprietà di un terzo ed era stata concessa in locazione ai coniugi, il contratto di locazione continua, alle stesse condizioni, in favore del coniuge assegnatario, indipendentemente dal fatto che il contratto originario fosse stato stipulato da entrambi od anche solo dal coniuge non affidatario.

In questa ipotesi valgono le regole dettate per la locazione, per cui l'eventuale acquirente della casa è obbligato a rispettare il contratto sino alla sua scadenza.

3) abitazione in comodato

Questo è il caso in cui possono sorgere maggiori problemi.

Il comodato è infatti il contratto con il quale un soggetto consegna una cosa ad una persona per un determinato uso, generalmente senza alcun corrispettivo.

Avviene spesso che i genitori concedano l'uso di una casa di abitazione al figlio/a ed al coniuge e che, dati i rapporti di parentela, ciò avvenga senza la stipulazione di un contratto scritto: cosa succede quindi se poi i coniugi si separano e la casa viene assegnata al genero o alla nuora dei proprietari?

Dopo alcuni anni di incertezze, la risposta è ora stata trovata dalla giurisprudenza, che ha deciso che si deve presumere che la casa sia stata concessa in comodato proprio al fine di destinarla alle esigenze abitative della famiglia e che perciò, applicando le regole generali in materia di comodato (artt. da 1803 a 1812 del codice civile), il proprietario non possa pretendere la restituzione dell'immobile fino a quando persistono tali esigenze e cioè fino a quando i figli dei coniugi separati o divorziati non avranno raggiunto l'autosufficienza economica.

L'unica eccezione ammessa è costituita dal sopraggiungere di un urgente bisogno del comodante di servirsi della cosa concessa in comodato, come nel caso in cui il comodante subisca lo sfratto o non possa più utilizzare – per fatto a lui non imputabile – la propria casa di abitazione e pertanto non abbia altra possibilità che riottenere la disponibilità di quella data in comodato (art. 1809, II° comma).

In caso di vendita dell'immobile, valgono le stesse regole già richiamate al punto 1: se il provvedimento di assegnazione è stato trascritto, l'acquirente dovrà subirne gli effetti sino a quando non verranno meno le condizioni per il perdurare dell'assegnazione; se non è stato trascritto, dovrà comunque lasciarlo in uso all'assegnatario per nove anni dalla data del provvedimento medesimo.