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L'accettazione dell'eredità

  • 04/01/2019

STUDIO GRANDIERI MAIORANA CECCARELLI

AVV. ANDREA MAIORANA

 

L’ACCETTAZIONE DELL’EREDITA’

E’ risaputo che alla morte di una persona il patrimonio del defunto viene trasferito in capo ad altre persone, che vengono individuate quali eredi; questo trasferimento può avvenire o per volontà del defunto, tramite testamento, o in forza di legge: il codice civile detta infatti numerose disposizioni per regolamentare la successione per causa di morte, sia per il caso in cui non sia stato redatto un testamento, sia ponendo limiti alla discrezionalità del testatore, imponendo determinate quote minime inderogabili in favore del coniuge e dei figli del defunto.

L’effetto successorio, ossia il passaggio del patrimonio dal defunto agli eredi, non avviene però istantaneamente ed automaticamente: infatti le persone individuabili come eredi – tanto che lo siano per legge quanto per devoluzione testamentaria – assumono in prima battuta la veste di “chiamati all’eredità” e diventano eredi solo con il compimento di un atto successivo, chiamato “accettazione dell’eredità”.

Questa particolare circostanza è poco nota a chi non sia esperto di questioni giuridiche, soprattutto perchè l’accettazione non richiede formalità particolari ma può avvenire anche “per fatti concludenti”, cioè ponendo in essere attività tali da rendere manifesta a tutti la volontà di accettare l’eredità: si parla in tal caso di “accettazione tacita”; così è, per esempio, se il chiamato all’eredità di reca in banca per fare accreditare sul proprio conto corrente le somme esistenti sul conto del defunto.

Siccome però il patrimonio che il defunto lascia in eredità è composto non solo dai beni e dal denaro di proprietà, ma anche da tutti gli eventuali debiti, il chiamato potrebbe non avere interesse ad accettare l’eredità ed anzi potrebbe essere per lui conveniente rinunciare (oppure accettare con beneficio d’inventario), per non trovarsi obbligato a pagare debiti di importo maggiore rispetto al valore di quanto possa ricevere dall’eredità stessa.

Tuttavia, mentre è possibile “rinunciare alla rinuncia” e quindi accettare l’eredità anche dopo avere ad essa rinunciato (salvo che nel frattempo l’eredità stessa non sia stata accettata da altri chiamati), non è più possibile rinunciare all’eredità dopo averla accettata, e ciò anche se l’accettazione è stata compiuta non con esplicita dichiarazione ma implicitamente “per fatti concludenti”, ovvero, come ho detto prima, con il compimento di atti che siano espressione della volontà di accettare l’eredità ovvero che siano incompatibili con la volontà di rinunciare.

Sotto questo aspetto risulta evidente come l’istituto della accettazione tacita possa risultare in un certo senso “pericoloso”, in quanto un chiamato all’eredità potrebbe trovarsi nella situazione di avere accettato l’eredità senza in realtà avere effettivamente considerato tutti i pro e i contro ed anzi addirittura senza essersene pienamente reso conto: infatti al riguardo quello che rileva non è tanto l’effettiva volontà del chiamato, quanto piuttosto la sua attività esteriore, e cioè il segnale che viene comunicato alle altre persone in qualche modo interessate alla vicenda ereditaria ed in particolare agli eventuali creditori del defunto.

Se, infatti, il semplice chiamato all’eredità, in quanto tale, non risponde dei debiti ereditari sino a che non ha accettato l’eredità, diventa invece immediatamente debitore diretto del creditore del defunto non appena compie un atto che possa avere valore di accettazione tacita.

A tutela del creditore, la giurisprudenza è orientata perciò nel ritenere che, indipendentemente dall’effettiva volontà del chiamato, l’eredità deve ritenersi accettata ogni qual volta questi abbia posto in essere comportamenti che abbiano ragionevolmente persuaso il creditore che il chiamato sia effettivamente subentrato nella posizione giuridica del defunto.

Sappiamo però anche che vi sono alcuni adempimenti obbligatoriamente dettati dalla legge, quali, in primis, la presentazione della denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta, che devono necessariamente essere compiuti entro un certo lasso di tempo.

Proprio perchè questi adempimenti sono obbligatori, si ritiene che essi non possano essere considerati atti di accettazione dell’eredità: pertanto il chiamato può presentare la denuncia di successione ed anche pagare l’imposta e poi successivamente rinunciare all’eredità.

Tale principio è stato più volte affermato dalla giurisprudenza, ma si ricava anche dalla legge stessa, in particolare dal Decreto legislativo n. 346/1990 che prevede espressamente che il chiamato all’eredità che abbia pagato l’imposta di successione ed abbia poi rinunciato all’eredità ha diritto di rivalsa nei confronti degli eredi che gli sono subentrati, ai quali può quindi chiedere il rimborso di quanto ha pagato a titolo di imposta: la legge stessa dunque prevede la possibilità di rinunciare all’eredità dopo avere presentato la denuncia di successione ed avere pagato la relativa imposta, cosa che viceversa non sarebbe possibile se tali atti costituissero accettazione dell’eredità.

Questa regola vale anche nei confronti del fisco, per cui il chiamato all’eredità che abbia presentato la denuncia di successione non è obbligato al pagamento dell’imposta se poi rinuncia all’eredità.

Dunque il semplice fatto di avere presentato la denuncia di successione non significa ancora avere accettato l’eredità; questa è considerata accettata, invece, con il compimento di un atto che presuppone l’acquisto della proprietà dei beni lasciati dal defunto: il chiamato all’eredità diventa automaticamente erede, ad es., se vende un bene che apparteneva al defunto, oppure se lo usa normalmente come se fosse suo.

Si noti bene che il concetto di “uso” dei beni ereditari è molto ampio e non richiede che essi siano appresi materialmente dall’erede e/o spostati da un luogo ad un altro: si pensi al caso del figlio che abita con il genitore nella casa di proprietà di questi e che alla morte del genitore continui ad abitare nella stessa casa utilizzando gli stessi mobili ed elettrodomestici.

Comportandosi in tal modo, il figlio, inizialmente semplice chiamato all’eredità, agli occhi di terze persone ed in particolare dei creditori del genitore diventa erede, poichè con il proprio atteggiamento mostra di voler tenere per sè ed utilizzare come proprie le cose che appartenevano al proprio genitore; per evitare questa conseguenza, il figlio dovrà o trasferirsi altrove e non toccare nulla di quanto era del genitore, ovvero fare redigere un inventario – da un notaio o dal cancelliere del Tribunale – entro tre mesi dalla morte del genitore e, entro quaranta giorni dalla chiusura dell’inventario, dichiarare formalmente di volere rinunciare all’eredità od accettarla con beneficio di inventario. Il mancato compimento di questi atti entro i termini suddetti comporta automaticamente l’accettazione piena dell’eredità: in tal senso dispone l’art. 485 cod. civ.

L’attività che può costituire accettazione tacita dell’eredità deve comunque essere posta in essere personalmente dal diretto interessato: recentemente la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che la voltura catastale degli immobili del defunto in favore dei coeredi fatta eseguire da uno solo di questi non può essere considerata atto di accettazione dell’eredità anche da parte del coerede che non ha chiesto tale voltura nè risulti avere dato delega a tal fine.