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Il nuovo assegno di mantenimento nel divorzio

  • 18/02/2019

STUDIO GRANDIERI MAIORANA CECCARELLI

AVV. ANDREA MAIORANA

 

IL NUOVO ASSEGNO DI MANTENIMENTO NEL DIVORZIO

La sentenza della Corte di Cassazione del 10/5/2017 n. 11504 è stata universalmente presentata come una pronuncia rivoluzionaria che modificava in maniera radicale una prassi, data come fermamente consolidata, secondo la quale il coniuge economicamente più forte si trovava costretto ad assicurare all’altro, vita natural durante, il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Secondo molti commenti seguiti nell’immediatezza di tale decisione, quest’ultima rovesciava completamente detta prassi e stabiliva invece che l’obbligo di mantenimento sarebbe rimasto solo nei casi in cui uno dei due coniugi fosse totalmente privo di mezzi di sostentamento.

In realtà, come l’interpretazione precedente non comportava di fatto un obbligo di mantenimento di tale portata, neppure sono così radicali le conseguenze della decisione della Cassazione del maggio 2017; con la successiva sentenza dell’ 11/7/2018 n. 18287 la stessa Cassazione ha richiamato tutti i criteri cui il giudice deve ispirarsi nel decidere se ed in quale misura deve essere attribuito ad uno dei coniugi divorziandi un assegno di mantenimento, consentendo forse di rifare finalmente un po’ di chiarezza sul punto.

Deve essere precisato che stiamo qui trattando dell’eventuale mantenimento dovuto da un coniuge in favore dell’altro e non di quello, del tutto diverso ed autonomo ed al quale sono in ogni caso tenuti entrambi i coniugi, in favore dei figli, che poggia ovviamente su presupposti completamente diversi.

Cosa dice la legge.

La questione del mantenimento fra coniugi è disciplinata dal sesto comma dell’art. 5 della Legge sul divorzio (L. 1/12/1970 n. 898, con le modifiche apportate dalla L. 6/3/1987 n. 74); questo è il testo:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Cosa deve intendersi per “mezzi adeguati”.

Per molti anni la giurisprudenza ha affermato che l’espressione “mezzi adeguati” dovesse essere riferita alla possibilità di ognuno dei coniugi di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio: il che avrebbe dovuto portare, per coerenza, a condannare il coniuge con stipendio più alto a corrispondere un assegno tale da far sì che le entrate di ognuno degli ex coniugi fossero sostanzialmente equivalenti (ed in realtà ciò non avveniva quasi mai).

Dopo la sentenza n. 11504 del maggio 2017 sembrava doversi ritenere che per “mezzi adeguati” dovessero invece intendersi semplicemente mezzi sufficienti a vivere autonomamente, per cui l’eventuale disparità di reddito, anche se enorme, non avrebbe più dovuto avere alcuna rilevanza.

La sentenza Cass. 11/7/2018 n. 18287 ha invece affermato che per stabilire se i “mezzi” di cui ognuno degli ex coniugi dispone debbono ritenersi “adeguati” occorre valutare tutti gli elementi menzionati dall’art. 5, comma 6, L. 898/1970, per cui il concetto di adeguatezza deve essere riferito alle capacità ed alle aspettative economiche e professionali di ognuno degli ex coniugi e deve quindi tenere conto anche delle eventuali rinunzie di tali aspettative che uno dei coniugi abbia fatto per meglio dedicarsi alla famiglia e/o per consentire all’altro coniuge la piena realizzazione dei propri obiettivi professionali.

Avrà pertanto diritto ad un assegno di mantenimento non solo quello fra i coniugi che non dispone di alcun reddito, ma anche colui che, pur godendo di un reddito sufficiente per vivere dignitosamente, durante il matrimonio si è impegnato particolarmente per il buon andamento della vita familiare in tutti i suoi aspetti, anche a discapito di possibili maggiori guadagni.

A cosa serve l’assegno di mantenimento.

Nell’impostazione tradizionale, l’assegno di mantenimento aveva carattere puramente assistenziale, trattandosi in sostanza di un sussidio che veniva riconosciuto in favore dell’ex coniuge economicamente più debole per il solo fatto di essere quello dei due che guadagna meno.

Secondo la nuova interpretazione, invece, l’assegno ha una funzione compensativa e perequativa: compensativa perchè riconosce e in un certo senso “risarcisce” l’ex coniuge che, durante il matrimonio, ha sacrificato la propria carriera per le esigenze della famiglia; perequativa perchè riequilibra le posizione degli ex coniugi, valorizzando l’impegno profuso all’interno della vita coniugale e familiare.

La sentenza del luglio 2018 afferma quindi che la corretta interpretazione della legge deve condurre al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve consentire il raggiungimento non soltanto di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.

Come si calcola l’ammontare dell’assegno.

Stabilite queste premesse, sembra potersi dire, in primo luogo, che se le condizioni patrimoniali e reddituali delle parti al momento del divorzio sono sostanzialmente equivalenti non debba essere disposto alcun assegno.

Se invece vi è squilibrio, perchè uno dei due ha un patrimonio maggiore o guadagna di più, il giudice dovrà accertare se tale differenza è dovuta al fatto che il coniuge economicamente più debole abbia rinunciato a possibilità di carriera o di maggiori guadagni per seguire le esigenze della famiglia o per permettere all’altro coniuge di sviluppare al meglio la propria carriera.

Qui potrà porsi un primo grosso problema, perchè sarà la parte che chiede il mantenimento che dovrà dare la prova di avere sacrificato concrete possibilità di guadagno e di averlo fatto a vantaggio della famiglia e/o dell’altro coniuge: cosa che nella maggior parte dei casi potrà essere sicuramente difficile.

Tali sacrifici fatti in favore della famiglia dovranno inoltre essere “rilevanti” e cioè da un lato devono avere portato alla rinuncia di un incremento di reddito non trascurabile – circostanza che dovrà anch’essa essere provata dalla parte che chiede il mantenimento – dall’altro devono essersi protratti per lungo tempo – circostanza che, invece, sarà dedotta dal giudice semplicemente sulla base della durata del matrimonio.

Ricorrendo tali elementi, dovrebbe quindi essere riconosciuto al coniuge debole un assegno mensile tale da compensare tendenzialmente i sacrifici fatti, così da garantirgli un reddito complessivo equivalente a quello che avrebbe potuto ottenere se non vi avesse rinunciato in favore della famiglia.

Nel caso in cui tali sacrifici siano particolarmente rilevanti, per l’entità del reddito cui si è rinunciato e per la durata del matrimonio, la misura dell’assegno di mantenimento può essere determinata dal giudice in modo tale da consentire al coniuge economicamente più debole la conservazione del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: tale parametro viene quindi recuperato come “tetto massimo” cui il contributo può giungere.

Anche in assenza di questi presupposti, rimane l’obbligo di corrispondere comunque un assegno di mantenimento nel caso in cui il coniuge richiedente sia totalmente privo di redditi propri, in forza del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione. In questo caso l’assegno ha esclusivamente funzione assistenziale e dovrà essere limitato a quanto necessario per condurre una vita dignitosa; se il matrimonio è stato particolarmente breve potrà non superare quanto strettamente necessario per colmare lo stato di bisogno.