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Il contratto di convivenza

  • 01/12/2017

Al termine di un percorso costellato da polemiche infuocate, nel maggio 2016 è stata infine approvata la legge destinata a riconoscere e disciplinare le unioni fra persone dello stesso sesso, denominate semplicemente “Unioni Civili”.

Con la stessa legge – che per essere sottratta alle infinite trappole della discussione parlamentare è stata compressa in un unico articolo, suddiviso in ben 69 commi – è stata altresì riconosciuta rilevanza giuridica alla convivenza di fatto ed è stato introdotto il nuovo istituto del “contratto di convivenza”, con l'intenzione di tutelare tutte quelle coppie, sia etero che omosessuali, che hanno semplicemente deciso di vivere insieme ma senza formalizzare la propria unione nelle forme del matrimonio o dell'unione civile.

Secondo la definizione della legge, sono conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale o materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità od adozione, da matrimonio o da un'unione civile”: ricorrendo queste condizioni, la cui prova è data banalmente dalla dichiarazione anagrafica di residenza, ai conviventi sono riconosciuti alcuni importanti diritti che viceversa erano fino ad ora loro negati; fra questi, i più rilevanti mi sembrano il diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali nel caso di malattia o ricovero di uno dei conviventi (comma 39), la possibilità di designare il convivente per le decisioni in materia di cure, donazione degli organi e/o trattamento del corpo dopo la morte (c. 40), il diritto di subentrare al convivente deceduto nel contratto di locazione (c. 42/44), il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in caso di morte del convivente per fatto illecito, da calcolare con i medesimi criteri utilizzati per il risarcimento in favore del coniuge (c. 49), il diritto del convivente che si trovi in condizioni economiche disagiate di ricevere dall'altro, in caso di cessazione della convivenza, un assegno mensile di mantenimento (c. 65).

La semplice convivenza, non formalizzata in matrimonio od unione civile, non determina viceversa l'insorgenza di diritti ereditari né di percepimento della quota di reversibilità della pensione in caso di decesso di uno dei soggetti; parimenti, la legge non prevede alcuna disciplina per quanto riguarda i rapporti patrimoniali fra i conviventi, a differenza di quanto è disposto invece per la famiglia fondata sul matrimonio, nel quale caso, come si sa, il codice civile detta alcune regole inderogabili.

Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali la L. 76/2016 prevede però che i conviventi possano stipulare un apposito contratto, denominato “contratto di convivenza” (c. 50): con tale strumento essi possono stabilire le modalità con cui ciascuno debba contribuire ai bisogni della coppia, mediante l'apporto di denaro o la messa a disposizione di beni in proprietà, prevedere forme di reciproco sostentamento nonché la misura in cui ognuno deve contribuire al mantenimento dei figli; i conviventi possono anche adottare il regime della comunione dei beni, in forza del quale tutti i beni acquistati dopo la stipulazione del contratto devono intendersi di proprietà comune dei conviventi, anche se pagati, in tutto o in quota maggioritaria, da uno dei due.

E' incerto, invece, se i conviventi possano stipulare anche pattuizioni per il caso di cessazione della convivenza: il comma 50, infatti, sembra limitare il contenuto del contratto ai rapporti patrimoniali “relativi alla vita in comune” e perciò, secondo alcuni interpreti, non potrebbe disciplinare i rapporti dopo l'interruzione della convivenza; secondo altri, tuttavia, tale limitazione non avrebbe senso, anche in considerazione del fatto che nella prassi si erano già affermati modelli di contratti fra conviventi diretti a regolamentare proprio tali situazioni, che sono in effetti quelle in cui vi è maggiormente l'esigenza di tutelare il soggetto più debole.

Bisogna tuttavia ricordare che a differenza del passato, come sopra si è accennato, oggi la legge riconosce al convivente il diritto di ricorrere al Tribunale per ottenere un assegno di mantenimento, analogamente a quanto avviene nel caso di separazione fra coniugi.

Le clausole relative alla definizione dei rapporti patrimoniali alla cessazione della convivenza devono in ogni caso essere affrontate con particolare cautela, poiché – in considerazione del fatto che ovviamente la cessazione della convivenza può essere determinata anche dalla morte di uno dei soggetti – una simile pattuizione potrebbe risultare non valida poiché contrastante con il divieto di patto successorio sancito dall'art. 458 c.c.

E' inoltre curioso notare, in proposito, che secondo l'interpretazione più liberale sarebbe pienamente valido l'accordo fra conviventi, sancito in un contratto di convivenza, in forza del quale uno dei due si impegni a corrispondere all'altro un assegno di mantenimento di importo già determinato, in caso di futura eventuale cessazione della convivenza, mentre, al contrario, secondo l'interpretazione per ora granitica della giurisprudenza un simile patto non è considerato ammissibile in una convenzione matrimoniale, cioè stipulata fra coniugi.

Per essere valido, il contratto di convivenza deve essere necessariamente redatto in forma scritta, per atto pubblico (cioè da un notaio) o scrittura privata, che in ogni caso deve comunque essere autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali hanno il compito di verificare che le pattuizioni concordate dalle parti non siano contrarie a norme imperative di legge e di fare trascrivere il contratto all'anagrafe del comune di residenza della coppia.

Il contratto è nullo e cioè non può produrre nessun effetto, se:

1) i conviventi sono legati da vincoli di parentela, affinità o matrimonio;

2) anche un solo dei conviventi sia vincolato da matrimonio, unione civile o altro contratto di convivenza con altra persona;

3) anche uno solo dei conviventi sia minore di età o interdetto;

4) uno dei conviventi sia stato condannato per l'omicidio od il tentato omicidio del coniuge dell'altro convivente.

Il contratto infine si scioglie automaticamente in caso di morte di uno dei conviventi ovvero se essi contraggono matrimonio o unione civile o se uno dei due conviventi contrae matrimonio o unione civile con un'altra persona; può invece essere risolto sia per mutuo consenso sia per recesso unilaterale di uno dei conviventi, ma in questi casi la risoluzione o il recesso devono risultare da atto scritto, con atto pubblico o scrittura autenticata.

A conclusione di questa breve illustrazione della “nuova” convivenza, mi sia consentita una piccola riflessione personale: la mia esperienza mi porta a ritenere che, normalmente, le coppie che scelgono la convivenza senza celebrazione di matrimonio – ovvero, oggi, di unione civile – lo fanno proprio perchè vogliono essere liberi da ogni vincolo legale; tuttavia, occorre tenere presente che i casi della vita possono portare a situazioni in cui, così facendo, lasciamo senza alcuna tutela le persone che più amiamo: ritengo che il nuovo contratto di convivenza possa colmare questa lacuna e mi auguro perciò che venga preso nella giusta considerazione ed ampiamente utilizzato.