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Il Codice della Crisi di Impresa - 4° parte

  • 04/09/2019

STUDIO GRANDIERI MAIORANA CECCARELLI

AVV. ANDREA MAIORANA

 

IL CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA

LE DEFINIZIONI MEDIANTE TRATTATIVE

Nell’intento, certamente apprezzabile, di fornire una sistemazione organica e completa dei vari strumenti previsti per consentire alle imprese il superamento di uno stato di crisi o di vera e propria insolvenza, il nuovo CCI detta disposizioni anche per istituti che in realtà si pongono totalmente o prevalentemente in ambito stragiudiziale, essendo costituiti da accordi privati stretti fra l’imprenditore in difficoltà ed i suoi creditori, ai quali la legge attribuisce una sorta di “riconoscimento” concedendo all’imprenditore particolari benefici.

Tali Istituti, non nuovi ma ora regolamentati più organicamente, sono i Piani Attestati di Risanamento e gli Accordi di Ristrutturazione.

 

1) I Piani Attestati di Risanamento.

La possibilità per l’imprenditore di “uscire” dallo stato di crisi stipulando una serie di accordi con i propri creditori è stata prevista dal D.L. n. 83/2012, che tuttavia si era limitato ad inserire nella legge fallimentare, e precisamente all’interno dell’art. 67, una disposizione secondo cui restavano esenti da azione revocatoria i pagamenti effettuati e le garanzie concesse dall’imprenditore “purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa”.

Il nuovo CCI con l’art. 56 dà ora, molto opportunamente, una nuova disciplina più chiara e completa di tali piani.

La particolarità di tale istituto sta nel fatto che non si tratta di una vera e propria “procedura”, perchè non vi è alcun intervento giudiziale: tutto avviene al di fuori del tribunale e i creditori non vengono riuniti in un’unica massa od in singole categorie in cui prevale la volontà della maggioranza.

Nella sostanza, l’imprenditore in crisi deve:

a) predisporre un documento nel quale siano esposte in modo analitico e dettagliato la situazione economica-finanziaria dell’impresa, le cause della crisi, gli interventi che si intendono realizzare, con l’indicazione dei tempi necessari, l’elenco dei creditori e l’importo dei debiti per i quali prevede una rinegoziazione, nonchè l’eventuale apporto di nuovi finanziamenti;

b) fare attestare il piano da un professionista indipendente, il quale deve confermare la veridicità dei dati esposti e la fattibilità, giuridica ed economica, del piano;

c) stipulare con i creditori (tutti o solo alcuni) dei nuovi accordi – che normalmente prevederanno la riduzione dei debito o l’allungamento dei tempi di pagamento; i creditori con i quali non si raggiunge alcun diverso accordo dovranno però essere pagati per intero.

Non è previsto un termine massimo di durata del piano: anche questo dato è lasciato alla libertà contrattuale delle parti.

Ci si può chiedere perchè l’imprenditore in crisi debba fare precedere gli accordi con i propri creditori dalla redazione e successiva attestazione di una dettagliata analisi della situazione aziendale e del piano contenente la previsione degli accordi stessi, redazione ed attestazione che, evidentemente, comportano un costo non indifferente.

La risposta si trova nelle conseguenze a cui potrebbero essere assoggettati sia il debitore sia i creditori nel caso in cui il progetto fallisca: infatti, se l’imprenditore in crisi non riesce a concludere idonei accordi con i propri creditori o se, nonostante tutto, la crisi non viene superata e l’azienda fallisce (o meglio, secondo la nuova terminologia, viene posta in liquidazione giudiziale), gli atti compiuti in esecuzione del piano non potranno essere assoggettati ad azione revocatoria.

Il liquidatore giudiziale potrà invece pretendere dai creditori la restituzione di quanto percepito nei sei mesi precedenti all’apertura della liquidazione giudiziale se non vi è stato un piano redatto ed attestato secondo le modalità sopra viste: la redazione di tale piano costituisce quindi una garanzia tanto per il debitore quanto per i creditori, i quali potranno accettare tranquillamente pagamenti da un debitore dichiaratamente in crisi senza correre il rischio di dovere in seguito essere colpiti dagli effetti di un’azione revocatoria.

 

2) Gli Accordi di Ristrutturazione.

Anche questo ulteriore strumento è costituito da una serie di accordi stragiudiziali conclusi dall’imprenditore in crisi con i propri creditori e deve essere preceduto da un piano con le stesse caratteristiche del piano attestato di risanamento, con l’attestazione di un professionista indipendente.

A differenza del precedente, questo strumento è utilizzabile anche dall’imprenditore non commerciale (ad es. l’imprenditore agricolo); non invece, dall’imprenditore minore, che può avvalersi della procedura di “Concordato minore”, di cui agli artt. 74 e segg. CCI.

Il piano è finalizzato al risanamento dell’impresa e quindi alla sua continuazione; perciò può contenere anche nuovi finanziamenti o nuovi assetti dell’impresa (compresa, ad es., la vendita di attività o rami d’azienda); solo nel caso in cui i debiti dell’impresa siano per oltre la metà nei confronti di banche od istituti finanziari sono ammessi accordi di ristrutturazione vòlti non alla continuazione ma alla liquidazione dell’impresa.

A differenza del piano attestato di risanamento, il progetto contenente gli accordi di ristrutturazione deve essere omologato dal tribunale e deve essere inviato via pec, insieme all’attestazione del professionista, a tutti i creditori, compresi quelli con i quali non è prevista la rinegoziazione dei contratti già in essere.

L’omologa può essere impugnata dai creditori avanti la Corte d’Appello.

Gli accordi con i singoli creditori devono essere stipulati per iscritto e la firma dei contraenti deve essere autenticata; essi devono essere stipulati con un numero di creditori che rappresenti almeno il 60% dei crediti; dopo l’omologazione, i singoli accordi non possono essere impugnati in alcun modo, neanche per far valere eventuali cause di nullità od annullabilità.

I creditori estranei agli accordi devono essere pagati integralmente nel termine massimo di 120 giorni dall’omologazione o dalla loro scadenza, se posteriore all’omologazione; su istanza del debitore, il Tribunale può vietare ai creditori di iniziare o proseguire, per un periodo massimo di 12 mesi, qualsiasi azione esecutiva nei confronti del debitore medesimo.

Tuttavia, gli accordi possono estendere i propri effetti anche nei confronti dei creditori che non abbiano aderito - e quindi possono essere loro imposti – se i creditori che abbiano invece aderito rappresentino almeno il 75% del totale dei crediti facenti parte della medesima categoria (“accordi di ristrutturazione con efficacia estesa”: art. 61 CCI).

Possono far parte degli accordi di ritrutturazione anche transazioni fiscali per i debiti di natura tributaria.

L’eventuale finanziamento dei soci, se effettuato per consentire l’esecuzione degli accordi, non è soggetto alla regola della “postergazione” di cui all’art. 2467 c.c., ma anzi è rimborsabile in prededuzione, entro però il limite dell’80%.

Se l’impresa debitrice è costituita da una società di persone, quindi con soci illimitatamente responsabili, l’omologazione degli accordi produce la liberazione dei soci, che dunque non potranno essere chiamati a rispondere dei debiti della società, salvo nel caso in cui essi abbiano prestato garanzie autonome.

Come nel caso dei piani di risanamento, i pagamenti effettuati in esecuzione di accordi di ristrutturazione non sono assoggettabili ad azione revocatoria e non possono costituire fattispecie di bancarotta preferenziale in caso di sottoposizione de debitore-imprenditore commerciale a liquidazione giudiziale.